Il Quintetto per archi di Louise Adolpha Le Beau
Il 5 maggio 2013 abbiamo dedicato il III appuntamento della seconda edizione della nostra rassegna al progetto “L’altra metà della musica” e al Quintetto per archi di Luise Adolpha Le Beau, compositrice tedesca dell’Ottocento.
Ad introdurre il brano per il nostro affezionato pubblico del teatro Silvestrianum, quel giorno abbiamo avuto il piacere di avere tra noi il compositore Giovanni Albini, docente di Armonia e contrappunto al Vittadini di Pavia e direttore dell’High score Music festival.
Giovanni è poi stato così gentile da farci avere la presentazione scritta di ciò che ha detto quel giorno. Eccola!
A questa presentazione occorre una premessa: della Le Beau, fino a qualche settimana fa, non sapevo assolutamente nulla. La richiesta di presentare il suo Quintetto è stata la prima occasione per addentrarmi nelle sue partiture, nei suoi scritti e nelle sue vicende biografiche. Con ben salda nella testa un’unica domanda: quale può essere il significato della riscoperta e dell’approfondimento di questi autori che la storia ha relegato alla condizione di ‘minori’?Una prima risposta sembrerebbe fornirla la stessa Le Beau. Nella prefazione delle sue Memorie la compositrice tedesca richiama una similitudine proposta da Hermann Ritter nella “Encyklopädie der Musikgeschichte”: «la scena musicale del diciannovesimo secolo è paragonabile ad una grande foresta che si presenta con ogni sorta di specie arboree, e non sono solo i pochi e grandi alberi a comporla, ma anche quelli piccoli; e tutti gli arbusti, le erbe, i fiori ed i muschi sono ad essa necessari.» E allora poco importa chi sia il ‘grande’ e chi il ‘minore’, tutti partecipano inevitabilmente allo stesso affresco.In secondo luogo, interrogarsi sull’importanza dello studio di artisti meno noti impone necessariamente una riflessione sui criteri che utilizziamo nell’attribuire valore ad un compositore e alla sua opera. E lo stesso interrogativo, se incarna il desiderio di andare oltre giudizi confezionati e preconcetti, mi sembra essere di per sé un esercizio mentale sano, indipendentemente dalla musica che si sta studiando e dalle risposte che ci può regalare. Perché comunque ci si può inaspettatamente trovare a scoprire che un poco di bellezza si annida in pagine dimenticate per le ragioni più futili. E che, in fondo, della bellezza è più quello che crediamo di sapere che quello che realmente sappiamo.Infine, il caso specifico della Le Beau e della sua produzione praticamente dimenticata rivendica attenzione per una ragione molto semplice: le difficoltà che una donna compositrice doveva affrontare nella società tedesca della seconda metà del diciannovesimo secolo. Solo questo lascia già, indiscutibilmente, il beneficio del dubbio sulla valutazione dei suoi meriti artistici. E, a dirla tutta, il suo Quintetto, che data 1900, pur non essendo a mio parere un’opera straordinaria, denota un gusto e una sensibilità che sembra precorrere quell’altro Novecento musicale lontano da modernismi e da ambizioni avanguardiste. Che fa della semplicità comunicativa il suo credo. E questo mi basta.Per tutto il resto, rimane l’inesauribile piacere dell’ascolto, del rito del concerto, dell’avventura su pagine dimenticate.